Ci sono argomenti che, in questa strana estate, sono purtroppo apparsi tutti insieme come emergenze. Pensiamo alla produzione agricola, al consumo di energia, al caldo asfissiante, maggiormente percepibile nei centri urbani, al cambiamento climatico; tutto ciò era già un problema, ed è strettamente legato al nostro modo di “costruire” e di occupare suolo. Parliamo di “consumo di suolo”.
Cos’è
Il consumo di suolo è un fenomeno associato alla perdita di una risorsa ambientale primaria, dovuta all’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale e si riferisce a un incremento della copertura artificiale di terreno, legato alle dinamiche insediative. Si tratta di un processo legato prevalentemente alla costruzione di nuovi edifici, capannoni e insediamenti, strade. Il concetto di consumo di suolo viene definito come una variazione da una copertura naturale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato).
Ha un costo complessivo compreso tra gli 81 e i 99 miliardi di euro, in pratica la metà del PNRR, quello che l’Italia potrebbe essere costretta a sostenere a causa della perdita dei servizi ecosistemici dovuta al consumo di suolo tra il 2012 e il 2030. Se la velocità di copertura artificiale rimanesse quella di 2 mq al secondo registrata nel 2020 i danni costerebbero cari e non solo in termini economici.
Dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie aumentando la pericolosità idraulica dei nostri territori) e lo stoccaggio di quasi tre milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di macchine in più circolanti nello stesso periodo per un totale di più di 90 miliardi di km.
È la situazione attuale e quella futura analizzata dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente nell’edizione 2021 del Rapporto sul “Consumo di Suolo in Italia”.
A livello nazionale le colate di cemento impermeabilizzano ormai il 7,11% del territorio nazionale e ogni italiano ha a disposizione circa 360 mq di cemento (erano 160 negli anni ’50).
Effetti
- Consumo di suolo e isole di calore. A livello nazionale superano i 2300 gli ettari consumati all’interno delle città e nelle aree produttive (il 46% del totale) negli ultimi 12 mesi. Per questo le nostre città sono sempre più calde, con temperature estive, già più alte di 2°C, che possono arrivare anche a 6°C in più rispetto alle aree limitrofe non urbanizzate.
- In ambienti ad alta densità urbana il suolo è un importante regolatore del clima e del microclima e, in quanto sede di aree verdi, è correlato alla qualità dell’aria.
- La sottrazione di suolo impatta sulla vivibilità delle aeree urbane a causa della riduzione delle aree vegetate, con conseguente diminuzione dell’evapotraspirazione e maggiore assorbimento della radiazione solare dovuto alla presenza di superfici scure artificiali in asfalto o calcestruzzo, contribuendo così al fenomeno conosciuto come Isole Urbane di Calore.
- Il consumo di suolo impatta anche sulla qualità dell’aria per la perdita della vegetazione in grado di catturare particelle sospese e assorbire gas inquinanti.
- Il suolo è inoltre un’importante riserva genetica ed un elemento di conservazione della biodiversità.
- Il suolo ospita infatti molti organismi che contribuiscono alla decomposizione del materiale organico ed al ciclo dei nutrienti. Questa comunità di organismi è nota in letteratura come Rete Alimentare del Suolo (Soil Food Web).
- Il suolo contribuisce al benessere umano anche fornendo ricchezze non strettamente materiali, come la bellezza del paesaggio e le funzioni etiche e spirituali legate ai luoghi, che rappresentano un fondamento importante per la vita delle comunità.
- Un suolo ben gestito è fonte di ricchezza anche correlata alla fruizione turistica (turismo agreste, turismo lento) e ricreativa (escursionismo, equitazione etc.).
- Processi di urbanizzazione disordinati e mal pianificati (sprawl urbano) possono degradare l’estetica del paesaggio, compromettendo la sua identità e la sua capacità di attrazione turistica, ed impattano, in ultima analisi, sulla qualità della vita umana.
Dopo la fine dell’ondata speculativa sviluppatasi nei primi anni 2000, nell’ultimo decennio i trend di crescita delle superfici urbanizzate, analizzate a livello nazionale da ISPRA, non mostrano segni di riduzione: nel 2020 ad esempio sono stati consumati 5.175 ettari di suolo. Di questo passo, da qui al 2050, l’Italia rischia di perdere definitivamente, cedendole all’urbanizzazione, 150.000 ettari agricoli, per la metà nel nord del Paese: per avere un termine di confronto, si tratta di una superficie che potrebbe essere sufficiente a generare un terzo della produzione nazionale di mais.
Quanto costa alla collettività rinunciare ad un ettaro, o anche solo a un metro quadro di suolo libero, rendendolo impermeabile con nuove edificazioni?
Iniziamo col dire che ogni ettaro di terreno fertile assorbe circa 90 tonnellate di CO2, è in grado di drenare 3.750.000 litri d’acqua e può sfamare 6 persone per un anno.
Questo significa che il suolo è uno dei principali fornitori di servizi ecosistemici di cui possiamo disporre (per di più a costo zero), pertanto assicurare la salvaguardia del territorio e limitare i danni all’ambiente non è un’impresa da anime belle, bensì un vero e proprio investimento finanziario che merita di essere catalogato nelle poste di Bilancio di ogni Comune.
Ma torniamo alla domanda iniziale, secondo i ricercatori dell’ISPRA, in Italia la copertura artificiale del suolo ha raggiunto i 21.000 Km quadrati, pari al 7,11% del territorio nazionale (contro il 4,2% della media europea). I costi nascosti, dovuti alla perdita dei servizi ecosistemici, più la riduzione dello stock di risorse alienate, ammontano a circa 100.000 euro/anno per ciascun ettaro di terreno libero che viene impermeabilizzato.
In conclusione, il territorio è una risorsa primaria e rinunciarvi comporta dei costi che vanno conteggiati nel Bilancio comunale e di cui va informata la collettività.
ll Veneto è la seconda regione d’Italia per consumo suolo. Con 217.744 ettari sottratti alla campagna nel 2020, la regione viene dopo la Lombardia e prima della Campania. E rispetto al 2019 sono stati consumati 682 ettari di verde in più. È questo il contenuto principale del nuovo rapporto Ispra sul consumo di suolo. Un consumo che preoccupa gli agricoltori veronesi, sia per la cementificazione sia per l’installazione del fotovoltaico a terra. Treviso guida la classifica delle province con più consumo di superficie agricola (41.385 ettari) seguita da Verona (41.199) e Padova (39.914).
la normativa
La legge regionale n. 24 del 21 dicembre 2017 (Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio), in vigore dal 1° gennaio 2018, ha l’obiettivo del consumo di suolo a saldo zero entro il 2050. I Comuni dovranno adeguare gli strumenti urbanistici entro tre anni e concludere il processo nei due anni successivi; tanto per fornire un paragone sottolineamo che la Germania sulla problematica è intervenuta da tempo e, partendo da una situazione peggiore della nostra, si è data un obiettivo: nel 2002 ha approvato una legge per ridurre il consumo diolo vergine a 30 ettari al giorno entro il 2020. In Germania la prima presa di posizione ufficiale risale a 30 anni fa: nel 1985 il governo democristiano liberale Cdu/Csu-Fdp, guidato da Helmut Kohl nell’allora Germania Ovest, riconobbe per la prima volta che “la necessità di invertire la tendenza di sottrazione di suolo al territorio aperto e rurale”.
Conclusioni
Sono 11,9 milioni di edifici residenziali in Italia – il 79,3% degli edifici totali – con 30,6 milioni di abitazioni. Di questi oltre 2 milioni si trovano in uno stato di conservazione mediocre e pessimo e rappresentano il 16,8% del totale. Parte di questi edifici, quasi 100mila si trovano nella Regione Veneto e rappresentano il 12,2% del patrimonio edilizio abitativo della regione. Altro dato interessante che riguarda il patrimonio edilizio è che quello rappresentato dai 487mila edifici residenziali non occupati, pari al 20,7% del totale nel 2011.
In una città come Verona, come in molte altre parti d’Italia, è poco comprensibile alla luce di quanto sopra la realizzazione di nuove edificazioni residenziali; lo è ancora di più se si pensa che sono 10.000 gli immobili sfitti stimati nella città scaligera, per tacer dell’inutilità assoluta della continua realizzazione di centri commerciali, supermercati ed anche Hotel.
Ci si dovrebbe limitare alla valorizzazione dell’esistente
Ciò che emerge chiaramente dai dati e dai fatti è che costruire consumando nuovo suolo ha un costo ben più elevato del tradizionale “costo di costruzione” che si inserisce nei business plan, ci sarebbero da calcolare anche un costo ambientale e sociale. Questo surplus è stato calcolato in 10 euro/mq il valore del suolo al quale si rinuncia considerandolo un costo annuo, avendo effetti lungo il tempo, e non “una tantum”.
Dati che meritano una attenta riflessione per il nostro futuro immediato.