Non vorrei cadere nel solito tema di come la pandemia ha cambiato le esigenze degli acquirenti immobiliari (che in parte è pur vero), perché sono convinto che il mercato sarebbe cambiato lo stesso, semplicemente per un suo bisogno, per una propria naturale, irrinunciabile, non rinviabile, necessità: l’essere orientato alla qualità.
Qualità del prodotto finale, ma che è il risultato di qualità progettuale, costruttiva, materiale e che passa per concept nuovi, nuovi approcci che includono anche la fase ed il rapporto personale rivolti all’end user. Certo, qualità anche nel marketing, nella comunicazione, nel servizio, nella commercializzazione.
“Ce lo chiede il mercato” potremmo dire parafrasando una frase politica di stampo europeo, ed è così, mi spiego con un esempio: personalmente ho la fortuna di vivere e lavorare in una delle più belle città italiane, Verona, che come tutte le città di piccola dimensione e con un patrimonio immobiliare ricco di storia vive di dicotomie:
ristrutturazione (recupero) o nuova costruzione (difficile) nel centro cittadino?
Ricostruzione o nuova costruzione nelle aree semiperiferiche rovinate sia da pessime ricostruzioni che da orrende nuove costruzioni?
Se parliamo (e purtroppo se ne parla e basta) di “consumo di suolo zero”, di rilancio delle nostre città, la conseguenza naturale è che il mercato immobiliare si orienti al recupero del patrimonio esistente che non è solo il palazzo di pregio nel centro storico, ma è anche la palazzina “squadrata” della semiperiferia, come può essere il capannone o l’ex area industriale dismessa ed abbandonata; tutto si può recuperare se, al centro della propria attività si mettono due concetti: qualità e valorizzazione.
Il patrimonio immobiliare da recuperare è immenso e tale che, se ci fosse una pianificazione urbanistica che mettesse veramente davanti a tutto l’interesse del cittadino e non “la cassa” del singolo comune (e l’interesse dei privati ad “inquinare” la pianificazione), edifici nuovi non se ne costruirebbero più, se non in sostituzione di quelli già esistenti; se si pensa che solo a Verona gli alloggi sfitti o non utilizzati sono stimati in 10.000 (alcune fonti citano numeri ben superiori) su una popolazione di 257.000 abitanti capite bene di cosa stiamo parlando.
Valorizzare: “Mettere in valore, conferire o accrescere valore a qualche cosa” (Fonte: Treccani), non è solo un concetto, ma è anche un processo costoso di investimenti tesi alla trasformazione di un prodotto aumentandone la qualità e, conseguentemente, aumentandone il valore; provate a riportare questo concetto teorico nella pratica della vostra casa, pensando di non parlare più di “stanze”, ma di ambienti studiati a soddisfare specifiche esigenze, non di “numero di prese elettriche” ma di studio della luce e dell’illuminotecnica di uno spazio, solo per fare due esempi banali, per non parlare della “qualità estetica” degli edifici, nel senso etimologico del termine (Aistesìs: percezione sensibile).
Qualità e valorizzazione degli edifici significa anche valorizzare il territorio, un centro storico, riqualificare aree periferiche e sappiamo bene quanto ce ne sia bisogno.
Ma pensate alla scelta di ogni dettaglio puntando sempre all’eccellenza; è un po’ il concetto del Samurai di “compiere ogni singolo gesto alla ricerca della perfezione”.
Teoria? Assolutamente no, è un processo che professionisti ed aziende alle quali piace precorrere i tempi hanno già iniziato, aprendo “un nuovo mercato immobiliare” fatto anche di acquirenti “illuminati”, consapevoli che, soprattutto in Italia, la casa è lo spazio della vita e se adeguatamente e sartorialmente valorizzato ha un costo, anche importante a volte ma fondamentale per la vostra qualità dell’abitare e vivere e per contribuire a migliorare le nostre città ed i nostri territori.
Non si può più valutare l’acquisto della propria casa solo sulla base del costo a metro quadro; per questo approccio c’è la pizza al taglio…